Nairobi
Oggi è il 10 dicembre! Sono lontana da casa e da Giovanni. E’ il tuo compleanno caro Fabrizio e io sono qui in Africa a Nairobi!
L’appuntamento con John Muiruri era per le prime ore del mattino ma, per problemi alla Toyota Frederich viene a prenderci con molto ritardo.
Insieme a John ci rechiamo al Centro di Accoglienza per Bambini di Strada. Un progetto che Amref Italia sta seguendo con molto interesse, e anche io gli sono molto legata.
In questo Centro, che è ancora da realizzare, ci sono 34 ragazzi che hanno creduto in John. Vengono ogni giorno a stare con lui e i suoi collaboratori. Vengono per studiare, per imparare a recitare, per giocare, specialmente a pallone; anche per un pasto caldo che alcune donne preparano ogni giorno per loro. Sono dei ragazzi che hanno conosciuto la droga, le ruberie. Hanno avuto almeno uno dei genitori morti di Aids. John è per loro come un padre e, la tenerezza con gli parla, la trasmette anche a noi che, siamo affascinati da quest’uomo buono e tenace.
I ragazzi ci accolgono nell’ufficio che poi non è altro che un container arrivato dall’Italia con un carico di medicinali. Subito, nasce una sintonia fra di noi. Ci dirigiamo verso una piccola casetta con, all’interno, banchi disposti intorno alle pareti per lasciare spazio ai ragazzi di recitare delle scenette molto divertenti.
L’emozione è profonda, per me è molto importante trovarmi qui in questo giorno. John ci fa sedere nei banchi insieme ai ragazzi. Mi ritrovo con due bimbetti al fianco avranno avuto quattro o cinque anni e d’istinto li stringo al petto. I ragazzi sono molto bravi strappano risate e applausi ad una platea molto attenta. Hanno, nella figura del collaboratore di John, un maestro eccezionale; solo in fondo alla stanza vi sono dei ragazzi con lo sguardo basso, distante, credo che non abbiano smesso del tutto di sniffare colla. Al termine delle rappresentazioni John parla di noi ai ragazzi e ascoltandolo mi accorgo che sta parlando loro di Fabrizio. Avverto che i ragazzi sanno di lui e che John gli ha parlato del progetto ambizioso che lega Amref al nome di Fabrizio: la creazione di un centro informatico all’interno dell’intero progetto. John mi chiede, con una voce tranquilla, di dire qualcosa; non parlo l’inglese, ma è talmente importante per me trasmettere le mie emozioni che incomincio a parlare tranquillamente in italiano. I ragazzi sono in silenzio, un silenzio quasi estatico ascoltano le mie parole con molta attenzione.
Racconto loro che Fabrizio era una persona eccezionale che amava l’utilizzo di internet e che, attraverso la rete informatica spaziava nel mondo e colloquiava con persone lontane chilometri. Fabrizio era entrato a far parte di Amref e il suo sogno era quello di poter vedere i ragazzi del Centro collegarsi ad un computer, navigare in rete. “Così anche i ragazzi più sfortunati – diceva – possono aprire una finestra e diventare cittadini del mondo”.
John spiega tutto ciò ai suoi ragazzi e io, nel frattempo, singhiozzo vistosamente senza potermi fermare. I piccoli che mi sono accanto mi guardano impauriti ma, nello stesso tempo si stringono sempre più forte a me. La traduzione di John è finita e nella piccola stanza c’è un silenzio irreale, poi dal fondo si alza un ragazzo che avrà avuto quattordici anni e mi si rivolge dicendo: “Siamo molto fieri per ciò che hai detto, non devi essere triste, Fabrizio vive attraverso noi. Abbiamo capito l’importanza di questo progetto e ti diamo la nostra parola che faremo di tutto perché ciò si realizzi.”
Ovviamente tutto questo mi è stato tradotto e mentre il ragazzo parla singhiozzo sempre più forte.
La nostra visita va avanti dividiamo la mensa con i ragazzi, scatto delle foto che conserverò gelosamente. Il nostro incontro con i ragazzi di John giunge al termine.
Difficilmente li potrò dimenticare come non potrò dimenticare: il loro sorriso, la loro sensibilità e la
volontà che hanno di tirarsi fuori da una vita di: stenti, di compromessi e di solitudine.
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