La sorpresa di Gianni

Gianni mi dice, che domani dopo essere stati al cimitero, mi farà una sorpresa. Non mi dice cosa.
L’otto febbraio è stato l’anniversario della perdita di Fabrizio. Sono trascorsi ormai venticinque anni da quel giorno. Non potevo mancare. Sono qui dai miei cari. Sono tutti qui. Gianni mi dice che mi porterà a vedere il nostro giardino. Non posso crederci. Dopo tanti anni…
Prendiamo la strada: Via Salvator Rosa e poi a salire Via Matteo Renato Imbriani. Passo davanti al cancello dell’Istituto Santa Rita dove ho frequentato le medie. Rivedo le mie compagne con le loro divise a ridere e complottare. Chissà cosa ci dicevamo…
Attraversiamo la piazzetta dove c’era il bar dove lavorava zio Salvatore. Ora non è più un bar ma non riesco a vedere cosa sia diventato. La strada del Capitol, ma Gianni va e non riesco a scorgere null’altro.
Entriamo in Via Francesco Capecelatro dove affacciano le nostre finestre. Parcheggiamo.
Rivedo i negozi di allora: il macellaio, il salumiere, il fruttivendolo, il vecchio ufficio postale. È tutto cambiato. Anche il nostro portone, quello che dava sulla strada, ormai è chiuso. Quando eravamo piccoli era sempre aperto. Veniva aperto al mattino e chiuso la sera dal nostro portiere don Vincenzo. Noi, per non attraversare tutto il giardino, uscivamo ed entravamo da lì.
Le finestre della nostra casa sono chiuse. Mi basta soffermarmi a guardarle per vedere affacciarsi zia Maria, o la nonna. Ci seguivano con lo sguardo quando scendevamo per una compera nei negozi di fronte casa.
Ci siamo incamminati girando intorno alle case che costeggiano il giardino. L’emozione di rivedere il muro della casa di Enzo. Il muro dove ci arrampicavamo per andare a giocare con lui, nella sua stanza dove era in castigo. Povero Enzo, era in castigo a scuola e a casa…
Arriviamo al cancello grande del nostro giardino. C’è il gabbiotto in pietra del portiere. Il viale con le stesse mattonelle di allora. I vialetti che circondano le aiuole. Curate, molto curate. Con Gianni ricordiamo i nostri giochi: nascondino, quattro cantoni, acchiapparella. Ma anche le corse per chi faceva il miglior tempo (come una sfida di atletica leggera), il Musichiere con tanto di premi… e sento le nostre grida di vittoria…
Purtroppo, il nostro palazzo è ricoperto per lavori esterni alla facciata e non possiamo vedere le finestre. Mi spiace non riuscire a vedere quella della cucina dove, a turno, si affacciavano per chiamarci quando era pronto il pranzo o la cena.
Si avvicina il portiere, che Gianni aveva già conosciuto, e ci racconta di chi è andato via e chi è rimasto. Tanti sono figli o nipoti. Ricordiamo tanti nomi che ormai non ci sono più. È bello poterli ricordare. Hanno fatto parte di un periodo a me molto caro. Un’infanzia vissuta gioiosamente e serenamente. Mentre stiamo salutando una cara amica che ancora abita lì, ci viene incontro il marito: Renato Varcamonti. Ci siamo riconosciuti subito nonostante siano passati più di sessant’anni. Ho portato loro il mio libro dove si parla della mia vita e anche del nostro giardino. Forse si ritroveranno anche loro nel mio scritto. Chissà.
Sono ritornata a casa avendo ancora negli occhi la mia casa, il nostro giardino, tutti i volti e le voci di coloro che hanno fatto parte della mia vita.

Il nostro giardino

Giorni fa ho sentito Gianni, mi ha detto che è stato nel nostro giardino.
Dopo tanti anni, ha sentito l’impulso di andare a vedere la nostra casa. La sua curiosità, nel rivedere quei luoghi, sarà dovuta forse alla lettura del mio libro? Chissà.
La casa della nostra infanzia, dove siamo nati e cresciuti. Quel giardino circondato dai palazzi del 1930..
Anche per me sarebbe importante ritornare a rivedere quella casa, quel giardino. I luoghi che mi hanno accompagnata nel passare dall’infanzia all’adolescenza. Mi rivedo bambina, e poi una giovane donna curiosa e, perché no, anche carina. Mi vengono in mente tanti ricordi.

Ecco che zia Maria ci chiama. È l’imbrunire e dobbiamo smettere di giocare. Dobbiamo salire per la cena, e prima che arrivi mia madre dal lavoro. Lei non vuole che io stia in giardino a giocare con i maschi. Con i miei giochi da maschiaccio mi sbuccio le ginocchia e mi sporco sempre il grembiulino. Molto spesso si strappa e zia Maria è pronta per rammendarlo. “Presto, presto che sta per arrivare tua madre…”

Sono diventata un’adolescente con poco charme ma, non so perché, i ragazzi mi guardano e gli piace parlare con me. La finestra della stanza da pranzo dà sul giardino. Con le persiane socchiuse guardo il cancello da dove spunterà il ragazzo che viene a trovarmi. Sono ansiosa e mi accorgo di avere il cuore che batte forte. La sera poi ci ritroviamo a parlare sui muretti esterni del giardino. Siamo in tanti, abbiamo la stessa età, qualcuno più grande di pochi anni e sono quelli che mi piacciono di più. I primi amori. Le prime conquiste, i primi baci candidi dati senza malizia. Ora mi sento veramente grande. Non mi sbuccio più le gambe, e non strappo il grembiulino. I miei vestiti sono larghi con la sottogonna di organza e mi fanno sembrare più grande anche se non ho niente che faccia pensare ad una donna.

È giunto il primo giorno di lavoro. Sono contenta. Un mondo si sta aprendo per me. Mi sento importante guardando le mie compagne che continuano ad andare a scuola. Mi sento una donna, come quelle delle riviste femminili: la borsa, il vestito attillato e le calze. Mi muovo con grazia e cerco di evitare di cadere… con quel tacchetto…

Le strade: Via Leone Marsicano, Via Francesco Capecelatro nel Rione Materdei. Riprendo il cammino verso la piazzetta per andare al lavoro. Molto spesso a piedi, nello scendere per Via Matteo Renato Imbriani e Via Salvator Rosa. Saluto tutti quelli che incrocio. Ci sono le botteghe rionali che hanno alzato le serrande. Conosco tutti e il mio saluto non manca mai mentre gli passo accanto.
“Buongiorno zio Salvatore, buongiorno Anna, ciao zia Maria, ciao zio Ciro, ciao Gelsomina…”
È il mio credo salutare tutti. Così mi ha insegnato il nonno:
“Dovete salutare sempre quando incrociate le persone. Per educazione, ma anche perché ricevere un saluto illumina la giornata. Il saluto è dell’Angelo…”.

Quelle botteghe, e quelle persone, non ci sono più. Eppure, ancora ho negli occhi i loro sorrisi al mio passare e la mia allegra spensieratezza nel salutare. La stessa spensieratezza che mi accompagnava nell’andare al lavoro. Giorni sereni, giorni felici.
Prima o poi andrò a rivedere quei luoghi a me tanto cari.
Sì, prima o poi ci andrò.

 

Una giornata di febbraio

Una giornata di febbraio con un clima freddo, pungente.
Il cielo è terso come non mai. L’azzurro, un azzurro come piace a te, Ci siamo preparati per venirti a trovare. Come tutti i giorni ormai, dal 24 gennaio; anche se ora dormi e non ti accorgi di noi. Per te non ci siamo. Con noi c’è Maria Luisa. Andrea è rimasto a casa: ha la febbre. Saliamo in macchina ma, mentre ci accingiamo a partire, arriva una telefonata. La telefonata che mai avremmo voluto ricevere. Eppure, lo sapevamo. Erano giorni che lo sapevamo e che sarebbe arrivata. Il mio sguardo si rivolge al cielo, a quel cielo azzurro. Mi chiedo se è possibile. Ancora una volta. L’ultima volta. Cerco di soffocare i miei singhiozzi. Non ci riesco.
Siamo arrivati. Tu sei qui, in questa piccolissima stanza. Ti guardo. Ti bacio, Ti accarezzo. Ti lascio andare. Giovanni è fuori ma gli dico di non entrare. Non voglio che ti veda così. Il nostro piccolo, grande uomo. Non voglio che abbia un diverso ricordo di te. E lui mi ascolta, come potrebbe fare un figlio ascoltando il consiglio della propria madre. Voglio che lui ti ricordi così come eri, senza avere i segni della sofferenza sul tuo volto. Ancora una volta mi sorprendo a tirare fuori una forza immane. A volte mi chiedo come sia possibile. Eppure, ci riesco. So che le persone che ho accanto sono fragili, deboli in questo momento. Ma ci sono io, e so di esserci ancora una volta.
Quel giorno il cielo era azzurro che può non si poteva. Un giorno di febbraio, freddo e pungente.
Era l’8 febbraio del 2020. Sono trascorsi venticinque anni da quando ci hai lasciato caro Fabrizio. Sembra come se il tempo si fosse fermato per me. Anche se mi ritrovo sola a ricordare.
Per chi ti ha conosciuto bambino
Per chi ti ha conosciuto uomo
Per chi non ti ha conosciuto
Per chi ha subito il fascino
della tua conoscenza
Per chi ha stimato l’uomo che eri
Per chi ti ha amato incondizionatamente
Per chi ti ha avuto come guida
Per chi sente ancora la tua mancanza
Per me, per noi, per voi
che ancora non accettiamo
la tua assenza.
W.D.B.