Il saluto di un Carissimo amico

Miei cari amici,
il giorno 14 dicembre ci siamo incontrati per la presentazione del mio libro “Mai avrei immaginato…”. Luca Raffaelli e Pino De Stasio, hanno intrattenuto gli ospiti presenti, raccontando e leggendo brani tratti dal libro. Bravissimi nell’analizzare tutti i passaggi letti.
Durante la serata di presentazione è stato ascoltato un audio di un carissimo amico: Sigfrido Ranucci.
Oggi, ho la possibilità di fare ascoltare a tutti voi, la sua testimonianza. Il suo ricordo affettuoso di Fabrizio, e il suo coinvolgimento con il nostro piccolo (ma grande) giornale: Il Caleidoscopio. Il suo intervento è stato ascoltato con emozione e coinvolgimento, e terminato con un forte e sentito applauso.
Caro Sigfrido, sei stato il Direttore Responsabile del Caleidoscopio dopo Franco Poggianti, e prima che Fabrizio lo divenisse, grazie al supporto e all’insegnamento di voi grandi giornalisti. Ricordo Franco, quando ci presentò dicendoci: “Lui farà molta strada…”. Eri un cavallo di razza! Lo si vedeva già, anche se tu racconti degli inizi con molta modestia. Tutti i pregi, che hai raccontato di Fabrizio, erano anche i tuoi. Non ti ho mai visto distante dai problemi dei semplici, anzi, hai raccontato sempre la verità: quella scomoda, e continui ancora a farlo. Di tutto questo ne siamo orgogliosi. Vorrei ringraziarti ancora per la tua vicinanza, e la tua amicizia. Sicuramente ci vedremo presto e organizzeremo qualcosa insieme per ricordare il nostro Fabrizio.
Buon ascolto, cari amici.

Piccole Fans

Ed eccole le mie più piccole fans: Rachele e Greta con il libro “Mai avrei immaginato…” ma che belle che siete. Mai sponsor fu più bello…

Nairobi

Oggi è il 10 dicembre! Sono lontana da casa e da Giovanni. E’ il tuo compleanno caro Fabrizio e io sono qui in Africa a Nairobi!

L’appuntamento con John Muiruri era per le prime ore del mattino ma, per problemi alla Toyota Frederich viene a prenderci con molto ritardo.

Insieme a John ci rechiamo al Centro di Accoglienza per Bambini di Strada. Un progetto che Amref Italia sta seguendo con molto interesse, e anche io gli sono molto legata.

In questo Centro, che è ancora da realizzare, ci sono 34 ragazzi che hanno creduto in John.  Vengono ogni giorno a stare con lui e i suoi collaboratori. Vengono per studiare, per imparare a recitare, per giocare, specialmente a pallone; anche per un pasto caldo che alcune donne preparano ogni giorno per loro. Sono dei ragazzi che hanno conosciuto la droga, le ruberie.  Hanno avuto almeno uno dei genitori morti di Aids. John è per loro come un padre e, la tenerezza con gli parla, la trasmette anche a noi che, siamo affascinati da quest’uomo buono e tenace.

I ragazzi ci accolgono nell’ufficio che poi non è altro che un container arrivato dall’Italia con un carico di medicinali. Subito, nasce una sintonia fra di noi. Ci dirigiamo verso una piccola casetta con, all’interno, banchi disposti intorno alle pareti per lasciare spazio ai ragazzi di recitare delle scenette molto divertenti.

L’emozione è profonda, per me è molto importante trovarmi qui in questo giorno. John ci fa sedere nei banchi insieme ai ragazzi. Mi ritrovo con due bimbetti al fianco avranno avuto quattro o cinque anni e d’istinto li stringo al petto. I ragazzi sono molto bravi strappano risate e applausi ad una platea molto attenta. Hanno, nella figura del collaboratore di John, un maestro eccezionale; solo in fondo alla stanza vi sono dei ragazzi con lo sguardo basso, distante, credo che non abbiano smesso del tutto di sniffare colla. Al termine delle rappresentazioni John parla di noi ai ragazzi e ascoltandolo mi accorgo che sta parlando loro di Fabrizio. Avverto che i ragazzi sanno di lui e che John gli ha parlato del progetto ambizioso che lega Amref al nome di Fabrizio: la creazione di un centro informatico all’interno dell’intero progetto. John mi chiede, con una voce tranquilla, di dire qualcosa; non parlo l’inglese, ma è talmente importante per me trasmettere le mie emozioni che incomincio a parlare tranquillamente in italiano. I ragazzi sono in silenzio, un silenzio quasi estatico ascoltano le mie parole con molta attenzione.

Racconto loro che Fabrizio era una persona eccezionale che amava l’utilizzo di internet e che, attraverso la rete informatica spaziava nel mondo e colloquiava con persone lontane chilometri. Fabrizio era entrato a far parte di Amref e il suo sogno era quello di poter vedere i ragazzi del Centro collegarsi ad un computer, navigare in rete. “Così anche i ragazzi più sfortunati – diceva – possono aprire una finestra e diventare cittadini del mondo”.

John spiega tutto ciò ai suoi ragazzi e io, nel frattempo, singhiozzo vistosamente senza potermi fermare. I piccoli che mi sono accanto mi guardano impauriti ma, nello stesso tempo si stringono sempre più forte a me. La traduzione di John è finita e nella piccola stanza c’è un silenzio irreale, poi dal fondo si alza un ragazzo che avrà avuto quattordici anni e mi si rivolge dicendo: “Siamo molto fieri per ciò che hai detto, non devi essere triste, Fabrizio vive attraverso noi. Abbiamo capito l’importanza di questo progetto e ti diamo la nostra parola che faremo di tutto perché ciò si realizzi.”

Ovviamente tutto questo mi è stato tradotto e mentre il ragazzo parla singhiozzo sempre più forte.

La nostra visita va avanti dividiamo la mensa con i ragazzi, scatto delle foto che conserverò gelosamente. Il nostro incontro con i ragazzi di John giunge al termine.

Difficilmente li potrò dimenticare come non potrò dimenticare: il loro sorriso, la loro sensibilità e la

volontà che hanno di tirarsi fuori da una vita di: stenti, di compromessi e di solitudine.

 

Giornata Internazionale delle Persone con Disabilità

Si celebra oggi, 3 dicembre 2024, la Giornata Internazionale delle Persone con Disabilità, istituita dalle Nazioni Unite nel 1992 per promuovere la consapevolezza, e la comprensione, delle questioni legate alle persone con disabilità e per mobilitare il supporto per la loro dignità, i loro diritti e il loro benessere.
Testo preso da Google
Sembra che non ci sia più un giorno del calendario libero per le tante ricorrenze che ci vengono proposte.
Forse è per l’età non più giovanissima ma, ricordo che, le nostre ricorrenze erano: Natale e Pasqua. Poi si aggiunsero: la Festa della Donna, la Festa del Papà, la Festa della Mamma e tante altre…
Mi direte: “va bene ma quelle sono “Feste” qui si parla di ricorrenze”. È vero le Feste sono feste e le ricorrenze sono altro. Eppure, lasciatemi dire il mio dissenso per queste giornate dedicate a cui tutti fanno riferimento ma nessuno si attiene.
Giornate per l’Ambiente, per la Pace, contro la Guerra, per l’inclusione, contro il Razzismo, a favore degli Animali (e poi ci sono i cacciatori e coloro che li abbandonano…) e chi più ne ha più ne metta…
Come questo giorno dedicato alle persone con Disabilità.
Oggi ci saranno, come sempre, le solite dichiarazioni. I soliti dibattiti e proclami.
Ma chiediamoci.
Davvero questi che parleranno sanno realmente cosa è la vita per un disabile? Veramente sanno cosa significhi vivere per chi ha un disabile in famiglia? Conoscono veramente le privazioni, la solitudine e l’indifferenza che ruota intorno a una persona disabile?
E allora, prima di dedicare “un giorno” alla disabilità bisogna che ci si guardi intorno. Vedere con altri occhi coloro che vivono sulla propria pelle l’essere disabile. In una società che vive solo per l’apparenza, e la superficialità, il disabile è una persona “invisibile” ai più.
A volte basta poco per rendere la loro vita meno vuota, anche per chi gli vive accanto. Basterebbe un sorriso, una parola, un interessarsi alle piccole necessità. Un aiuto semplice. Dare loro la possibilità di una passeggiata, un confronto telefonico un far sentire la propria vicinanza, un’amicizia sincera.
Basterebbe molto poco per rendere, la “Giornata Internazionale delle persone con Disabilità”, una giornata come le altre.
Che lo sia, però, non solo per un giorno, ma per tutti i 364 giorni dell’anno.

Oggi è una giornata NO!

Oggi è una giornata NO! Una di quelle giornate che vuoi startene tranquilla, e pensare. Solo pensare.
Già il giorno: primo dicembre, mi dice tutto. Comincia il mese più bello per tutti, ma molto triste per me.
Come sempre accade, la mia irrequietezza mi porta a cercare, rovistare, trovare. È vero che oggi c’è un motivo. Devo trovare le piccole cassette di registrazione per Luca Raffaelli. Cerca e ricerca eccole con il vecchio, e piccolo, registratore di Fabrizio. Lo provo ma non funziona. Dovrò capire come fare.
Ed eccomi amato Fabrizio, a rovistare nei cassetti della tua scrivania, rimasta così da sempre. Tutto come li avevi lasciati. Le tue cose più care e, anche, piccoli oggetti legati alle tue passioni. Ho trovato il tuo biglietto da visita, la tua tessera dell’Unione Astrofili Italiani (altra tua grande passione). Ricordo l’anno che ci lasciasti e non fu rinnovata la tua iscrizione, ricevetti la telefonata del Presidente di allora. Mi chiese come mai un assiduo associato come te, non avesse rinnovato. Quando lo seppe rimase senza parole. Anche lui ti aveva conosciuto solo telefonicamente e aveva intessuto con te molte conversazioni.
Dopo qualche giorno, mi arrivò una sua lettera che conservo gelosamente. Come sempre, chi aveva avuto la possibilità di conoscerti, poi non riusciva più a interrompere quel rapporto iniziato così stranamente.
Nel cercare, rovistare e guardare mi sono ritrovata a leggere la tua agenda e le tue rubriche telefoniche. Ancora oggi non riesco a capire e capacitarmi quante persone tu abbia conosciuto. Ci sono nomi di politici, giornalisti, sindaci, assessori, giovani amici del Senato e della Camera. Giovani conosciuti grazie alla tua passione per i Manga.
Troppo ci sarebbe da scrivere.
Ci sono anche nomi di persone che ci hanno lasciato come Pietro Ingrao, Don Di Liegro, Giglia Tedesco, Oliviero Beha, Silvio Di Francia, Mario Di Carlo, Giulietto Chiesa e tanti altri…
Mi devo fermare, caro Fabrizio, la tristezza mi prende. Ripongo tutto dov’era e ritorno alle mie faccende.
Porto dentro di me tutto ciò che hai lasciato: per me, per gli altri.

La TV fa bene ai bambini?

L’ultimo anno, che Fabrizio partecipò al “Festival Internazionale del Cinema di Animazione Castelli Animati”, che si teneva a Genzano, organizzò una Tavola Rotonda.
Il venerdì del 1 ottobre 1999, in programmazione c’era la Tavola Rotonda, formata da importanti esponenti legati al mondo dell’infanzia: il Prof. Mario Morcellini, il Prof. Roberto Maragliano, l’On. Vincenzo Vita e la Dott.ssa Mussi Bollini (ideatrice della trasmissione TV per i ragazzi “La Melevisione”) diedero vita a un interessante dibattito. L’argomento trattato era: “La TV fa bene ai bambini?”. Con il Direttore Artistico del Festival Luca Raffaelli fu un successo. Sarebbe dovuto durare una ora e, invece, andò oltre. Ho conservato una registrazione dell’incontro dove si ascoltano, oltre Fabrizio, gli l’interventi di tutti i partecipanti.
Fabrizio riuscì a organizzare la Tavola Rotonda dalla sua stanza, con il suo cellulare e riuscendo a coinvolgere queste personalità con la forza delle sue idee. Convincerli a essere presenti, richiesta fatta da una persona mai sconosciuta, non è da tutti. Ma lui riusciva a essere in sintonia con gli altri. Questo era il suo potere: sensibilità e conoscenza. Questo era il nostro amato Fabrizio.

Quello fu l’ultimo anno che Fabrizio partecipò al Festival dei Castelli. L’8 febbraio del 2000 Fabrizio ci lasciò ma non ci lasciarono le sue idee, le sue battaglie, i suoi convincimenti. Fabrizio, grazie al grande affetto di Luca Raffaelli, continuò a essere presente al Festival con il Premio Fabrizio Bellocchio. Il Premio voluto fortemente da Luca e dedicato al film, o cortometraggio animato, è stato assegnato per molti anni all’opera che si distingueva per il contenuto sociale. Nel 2009 il Festival si sciolse e il Premio Fabrizio Bellocchio subì una interruzione. Per due anni (2021 e 2022) è continuato nel Sardinia Film Festival. Oggi siamo in attesa che il Premio possa riprendere. Noi non disperiamo.

Ma di questo ne potremo parlare ancora.

La giornata contro la violenza sulle donne… 

Sabato 23 novembre si è tenuta la manifestazione a Roma “Non una di meno”. Mi sarebbe piaciuto esserci. Per i miei trascorsi da femminista ma, principalmente, per le mie idee. Purtroppo, non è stato possibile. In questo mio post vorrei che giungesse, a voi tutte, il mio pensiero. Diciamo che sarebbe opportuno arrivasse agli uomini. Ad alcuni uomini. Quelli che ancora sentono la donna come una proprietà.

La donna umiliata e offesa. La donna violentata. La donna massacrata non solo con le botte ma anche, e principalmente con le parole. La donna lasciata sola. La donna che non è padrona del suo corpo. La donna “madre” che non può decidere se esserlo oppure no.

Siamo tutte donne ma solo, e soltanto, quando lo decidono gli uomini. Non tutti però. Ecco, io vorrei parlare proprio a quelli. Non scendete in piazza solo un giorno all’anno. Non comprate fiori solo nei giorni consacrati. Non lasciatele piangere e ridere da sole. Sappiate essere loro vicino sempre. Per sostenerle nei momenti difficili e in quelli gioiosi. L’altra metà del cielo lo possa diventare davvero, e non solo per portarsela a letto. In quello sono buoni tutti. Aiutatela nel coronare i suoi sogni. Tutte le donne ne hanno.

La donna ha bisogno soltanto di avere accanto un compagno che divida con lei: problemi, felicità, dolore e amore. Un uomo che riesca a leggere nel suo cuore e che la sente come parte integrante della sua vita.

 

La nebbia a gl’irti colli

La nebbia a gl’irti colli

piovigginando sale,

e sotto il maestrale

urla e biancheggia il mare.

 

Già, quel mare tanto amato e tanto temuto. Il mio mare che porto nel cuore. Il mio mare che amo guardare, Osservare i movimenti di quelle piccole onde che si infrangono sugli scogli. E penso…

La mia mente è sempre in movimento. I pensieri e i ricordi non mi lasciano mai. A volte mi piacerebbe poter spegnere la mia mente e riposare.

Pensieri, ricordi… ma poi tutto scompare: il mare, il porto, le navi, le case. Tutto ovattato. Una mano ha steso un mare di nuvole dal cielo e tutto è scomparso. La mente riposa. Il pensiero è silenzioso. Il cuore si placa. Il tempo scorre. Lentamente tutto passa. La vita continua.

La vita va…

 

Finalmente oggi è arrivato il tuo atteso libro

Oggi condivido con voi questo messaggio inviatomi da una mia cara amica, Teresa. Lo inserisco così, come mi è stato inviato per WhatsApp, man mano che la lettura andava avanti. Le sue riflessioni mi hanno emozionata non poco. Ho letto, fra le sue righe, il raggiungimento del mio scopo: l’aver trasmesso a voi che mi seguite il vero senso del messaggio celato in quelle pagine. Teresa continuerà a scrivermi man mano che le verranno in mente delle ulteriori riflessioni. E io sarò qui a condividerle con voi.

Grazie ancora Teresa

 

Buongiorno Wanda, finalmente oggi, è arrivato il tuo atteso libro, prenotato da subito! Sono un po’ emozionata! È la prima volta che leggo un libro di una persona che, anche se per breve tempo, ha fatto parte della mia vita! Buona domenica e spero a prestissimo!

Cara Wanda, il tuo libro mi confonde e mi emoziona. Al momento ho letto solo cento pagine e le parole si fondono con le immagini. Più’ vado avanti e più il libro scompare. Mi sembra di averti accanto! Tu sei seduta con me e mi riveli le tue emozioni, il tuo amore, mi racconti la tua esistenza in un modo tale, da farla vivere anche a me. Poco conta il fatto che io ti conosca, perché la conoscenza che ho di te, risale a troppo tempo fa, quando anch’io distratta dalla giovane età, non coglievo l’essenza della vita e tantomeno il sentire delle persone che mi circondavano. Io ti vedo e ti sento dentro. Non vedo l’ora di ritornare all’ascolto di ciò che mi dirai ancora. Questo libro ha un filo emotivo che non si può interrompere, bisogna leggerlo tutto di un fiato!!! Inoltre, è uno strumento potente per riflettere sulle fragilità della propria esistenza. Un invito a liberarla da tante cose futili ed inutili di cui troppo spesso viviamo Grazie!  Grazie! Grazie!

 

…e ancora, in questo scritto non c’è differenza tra passato e presente È un “unicum” che unisce i vari pezzi di una “vita sola”. Nel senso che, non c’è separazione tra la descrizione della tua vita da giovane ragazza da quella che racconti da donna, moglie, madre, amica. Sono entrambe pervase dallo stesso entusiasmo, nonostante i dispiaceri e le cose meno belle che comunque ci sono nella vita di ognuno!

 

Hai avuto la capacità di trasformare il dolore in una cosa bella: “Tu vivi ancora più di prima, con Giovanni, Francesco, Barbara e Fabrizio. Mi sembra come se ora fossero molto più di prima, vicini a te. Anche loro, sempre grazie al tuo racconto, li percepisco tutti, in un solo abbraccio!

Non avrei mai immaginato che ognuno di noi potesse avere la “sua amica geniale” Tu sei, L’ AMICA GENIALE!!!”

…mi sono piacevolmente ritrovata nei tuoi racconti di fanciulla e di adolescente. All’epoca le realtà familiari erano tutte eguali, così come tu le hai descritte e grazie a te, mi sono vista di nuovo bambina e poi adolescente nella mia famiglia. La sensazione forte nel leggere questo libro, è che le persone e i fatti raccontati, non sono inanimati, ma sono vivi. Li vedi! E non solo! Ti rivedi, calandoti anche tu, in una realtà che ti è familiare!

Leggendo il tuo libro, ho fatto un viaggio stupendo, ricco di   amore, gioia, entusiasmo, ricordi, alcuni dei quali, anche se in minima parte, appartengono anche a me, di dolore E ciò che mi ha più colpito è la capacità che hai avuto di trasformare “il dolore” in un dono. Un dono da regalare agli altri, ma anche un dono per te stessa, un dono, che riempisse la tua vita perché Giovanni ed i tuoi figli sono dentro quel dono e nessuno mai li potrà cancellare. Nel leggerti, ho scoperto che forse un dolore di tale intensità, quello che ti distrugge ti annienta io non l’ho conosciuto! Grazie, perché questo libro invita a prendere contatto con noi stessi, con la nostra vera essenza! Come siamo distratti dalle cose inutili!

Teresa M.

 

La Tarantella

L’anno scolastico sta per finire e come sempre, noi della quinta elementare dovremo preparare la recita di fine anno. Oggi Suor Matilde, alla fine delle lezioni ci ha detto che avremmo dovuto provare la tarantella napoletana. Mi piace l’idea di ballare sul piccolo palco della scuola. Finalmente qualcosa di diverso. La nostra è una piccola scuola privata: Suore Catechiste del Sacro Cuore. Le suore hanno i vestiti neri. Il velo che copre la testa ha, intorno al viso, una piccola ghirlanda bianca inamidata che lo incornicia. Sul petto spicca un enorme cuore rosso trafitto. A volte quando lo guardo mi fa paura. Non credo che alle suore faccia lo stesso effetto. Loro sono contente di essere vestite così. Però, se ci penso, è strano che hanno pensato alla tarantella per chiudere l’anno.

Il prossimo anno andremo alle medie e non vedremo più le nostre maestre. Non vivremo più il calore di quelle stanze che ci hanno visto crescere, imparare a leggere e scrivere. Ma ora voglio solo pensare alla tarantella. Come mi vestirò? Chi penserà a realizzare il vestito da pacchiana (popolana) che dovrò indossare?

Zia Maria è al portone insieme a tutte le mamme. È in attesa che Gianni ed io usciamo insieme agli altri bambini. Sono tutta eccitata e non vedo l’ora di raccontarle della recita di fine anno. Zia Maria sa cucire molto bene, sicuramente ci penserà lei a non farmi fare una brutta figura.

“Wanda vieni a provare la gonna.”

“Stai attenta che ci sono gli spilli.”

“Non muoverti.”

“Adesso perdo la pazienza e smetto di cucire”.

Ma è solo una flebile minaccia. Con il passare dei giorni il vestito della pacchiana prende sempre più forma.

La camicia è bianca con balze ricamate. La gonna è di seta rosa con strisce nere. Il corpetto nero stretto con nastri è sopra la camicia e lateralmente alla vita c’è un fiore di stoffa rosa. In testa un fazzoletto inamidato identico a quello delle popolane.

Come tutte le bambine della mia età, mentre provo la gonna, mi vedo bella e aspetto con impazienza il giorno che dovrò ballare. Chissà cosa diranno i miei compagni. Sarò brava? Non sbaglierò i passi? Seguirò la musica? Poi mi toccherà suonare il tamburello. E come si fa?

Oggi sono finalmente sul piccolo palco. Davanti a noi ci sono le suore. La direttrice, Suor Dorotea, siede nei primi posti. Suor Matilde è con noi dietro il palco e ci sussurra cosa dobbiamo fare. Ci sono i genitori, i bambini di tutte le classi e c’è zia Maria che mi guarda. Il mio vestito è veramente bello.

Tutto è andato bene. Il ballo, la canzone, il tamburello fatto suonare al momento giusto. Il mio vestito è il più bello di tutti… sono veramente contenta.

Ancora una volta ringrazio la mia seconda mamma: zia Maria. Con il tuo sapiente lavoro, mi hai reso una bambina felice.